16Aprile

Immigrazione, politiche sanitarie e partecipazione: l’esperienza dei GrIS

La tutela della salute degli immigrati appare sempre di più centrale nell’ambito delle riflessioni sulla salute globale. La Società Italiana di Medicina delle Migrazioni (SIMM) e i gruppi locali a cui ha dato vita, i GrIS, rappresentano una fondamentale esperienza di partecipazione della società scientifica e civile su questo tema. Le attività di riflessione e produzione scientifica, lo scambio di esperienze locali, i meccanismi di advocacy e il costante monitoraggio delle politiche sanitarie a livello centrale e regionale fanno della SIMM e dei GrIS un attore importante nel percorso formale e sostanziale verso una piena garanzia del diritto alla salute.

Giulia Capitani, Società Italiana di Medicina delle Migrazioni, GrIS Toscana
Salvatore Geraci, Società Italiana di Medicina delle Migrazioni

Questo contributo vuole raccontare la storia di un percorso condiviso, fatto insieme da persone, associazioni, istituzioni. Un percorso cominciato anni fa e che prosegue, tra nuove sfide e difficoltà e entusiasmi sempre rinnovati.

Lo spazio di riflessione e di azione è quello della salute degli immigrati, quindi della salute pubblica, che, lo sappiamo bene, non può essere agita, tutelata, preservata a livello di singoli gruppi: o è patrimonio condiviso all’interno di una comunità tra tutte le sue componenti, maggioritarie e minoritarie, fino a quelle considerate più marginali, o diviene un diritto leso, monco, non garantibile per nessuno.

Per questo è particolarmente appropriato raccontare la storia della Società Italiana di Medicina delle Migrazioni (SIMM) e dei gruppi locali a cui ha dato vita (i GrIS) all’interno di una monografia sulla salute globale. I due approcci (medicina delle migrazioni e salute globale, appunto) condividono la visione delle problematiche di salute come ormai trascendenti i confini degli stati nazionali e legate alle dinamiche della globalizzazione, e soprattutto l’attenzione ai determinanti sociali di salute come chiave imprescindibile per comprendere l’ineguale distribuzione di salute e malattia. Soprattutto, tendono a coltivare partiche innovative di partecipazione, azione politica e diffusione delle conoscenze, privilegiando i movimenti “dal basso” e le logiche di rete.

Proprio l’immagine della rete, costituita da tanti nodi attivi e ben collegati tra loro, ma anche da spazi vuoti simbolo di autonomia e desiderio di preservare differenti identità, aiuta a spiegare la realtà della SIMM e dei GrIS, e il loro ruolo all’interno dei sempre più complessi scenari delle politiche, regionali e nazionali, su salute e immigrazione.

La SIMM nasce nel 1990 sotto la spinta di medici ed operatori sanitari del mondo del volontariato e di, allora, rare esperienze del settore pubblico che si erano organizzati per garantire il diritto all’assistenza agli stranieri che ne erano esclusi[1]; quegli stessi operatori che, con le loro riflessioni e lo scambio di dati e considerazioni clinico-epidemiologiche, cominciavano a sovvertire il discorso pubblico sulla salute degli immigrati, tradizionalmente interesse di tropicalisti e infettivologi, spostandolo sui temi del diritto alla salute, dei determinanti sociali e soprattutto su quello delle diversità culturali, come nuovi linguaggi con cui la salute e la malattia si manifestavano e venivano raccontate, e andavano quindi accolte e comprese[2].

Nel 1995 la SIMM appoggia e supporta alcune associazioni con una proposta di legge presentata in Parlamento e sottoscritta da 60 senatori e 140 deputati, e ottenendo che nel controverso Decreto Legge Dini, varato nello stesso anno in materia di politica dell’immigrazione e caratterizzato da un’impostazione particolarmente restrittiva, sia inserito un articolo che riprende le indicazioni della società civile sull’assistenza sanitaria: diritto per tutti gli stranieri, anche se privi del permesso di soggiorno, non solo come accesso straordinario ma anche come cure ordinarie e continuative. Al di là del merito, senz’altro importante, quest’azione fu la prima di una serie che dimostrò come una società civile organizzata potesse influire nei processi di costruzione delle politiche e delle norme, rilevando e portando all’attenzione pubblica bisogni altrimenti negletti. E così continuò a essere, anche se non sempre con la stessa efficacia, negli anni a seguire, che si sia trattato di costruire percorsi politico-normativi (vedi la parte sanitaria della Legge Turco Napolitano ed atti collegati[3]) o che si sia trattato di contrastare scelte “patogene” (contrasto alla Legge Bossi Fini[4] o ad alcune norme del cosiddetto “pacchetto sicurezza”[5])*.

Attualmente la SIMM ha oltre 500 soci attivi in tutta Italia, e, tra le altre cose, «promuove, collega e coordina attività socio-sanitarie in favore di individui, gruppi e comunità con esperienza o storia di migrazione; promuove e favorisce attività di studio e ricerche nel campo della salute dei migranti, rifugiati e rom, e dell’approccio transculturale alla salute; costituisce un ‘forum’ per lo scambio, a livello nazionale e internazionale, di informazioni e metodologie di approccio alla persona immigrata; patrocina e gestisce attività formative nel campo della tutela e della promozione della salute dei migranti».[6]

La storia della SIMM si intreccia alla fine degli anni ‘90 con il percorso conosciuto come “devolution”, termine che sta a indicare il passaggio di attribuzione di poteri su talune materie dallo Stato alle Regioni. Nel 2001 la riforma del Titolo V della Costituzione amplia notevolmente i poteri delle Regioni rispetto alle competenze statali. La salute diventa materia di competenza regionale, mentre l’immigrazione è tra le materie in cui lo Stato mantiene la piena potestà legislativa. La tematica “salute e immigrazione” appare quindi ambiguamente sospesa tra la legislazione “esclusiva” (quella dello Stato) e la legislazione “concorrente” (quella delle Regioni e Province autonome) in ciò che è stato definito “pendolo delle competenze e delle responsabilità”. La devoluzione, insieme al parallelo percorso verso il federalismo fiscale, finisce col produrre un ampliamento della variabilità interregionale nei livelli di assistenza con una riduzione degli stessi, in luogo di percorsi virtuosi di prossimità e responsabilizzazione^. Questo appare ancora più vero quando ci si occupa di immigrati: l’articolazione tra diversi livelli istituzionali finisce col determinare profili incerti di responsabilità che mettono in crisi l’effettiva applicazione delle indicazioni normative (regionali, ministeriali, europee) e generano confusione e difficoltà interpretative a livello dei settori amministrativi delle Regioni e delle Aziende Sanitarie.

A tale scenario la SIMM ha risposto con la creazione di gruppi locali su base territoriale (Regioni e Province Autonome): i Gruppi Immigrazione e Salute, i GrIS.

A dire la verità il primo (e più strutturato) GrIS, quello del Lazio, nasce nel 1995, quasi parallelamente alla SIMM, e si configura subito come gruppo di collegamento tra operatori delle strutture pubbliche e gruppi del privato sociale in grado di accreditarsi come interlocutore autorevole per le istituzioni regionali. Sul modello del Lazio nascono numerosi altri gruppi, in Lazio, Trentino, Lombardia, Piemonte, Friuli Venezia Giulia, Veneto, Emilia-Romagna, Toscana, Liguria, Sardegna, Calabria, Campania, Sicilia, Puglia°.

I GrIS sono realtà diverse, per storia, longevità, capacità di incidere sul contesto locale. Tutti però sono accomunati dall’obiettivo di mettere in rete conoscenze, capacità, contatti per agire in modo efficace per la tutela della salute degli immigrati, promuovendo occasioni formative e informative, facendo pressione sui decisori politici, rilevando e segnalando anomalie o mancanze nell’applicazione della normativa.

I GrIS sono luoghi anomali, per molti versi: presuppongono una cessione di sovranità delle singole associazioni, gruppi, enti che li compongono, perché sia più forte l’azione collettiva. Mescolano operatori del terzo settore e delle ASL, che raramente hanno occasione di incontrarsi e di scambiarsi opinioni su un’utenza che è la stessa per entrambi. Sono gruppi del tutto informali, aperti a chiunque condivida spirito e principi della SIMM. Portano avanti la loro azione di lobby verso le istituzioni e di advocacy per i diritti degli immigrati senza chiedere finanziamenti, basandosi sull’impegno volontario dei propri membri. Soprattutto, non cercano di sostituirsi a realtà associative già presenti sul territorio, e ancor meno alle istituzioni pubbliche, ma funzionano come recettore di bisogni inascoltati e da stimolo critico verso chi deve fornire una risposta.

Il GrIS Toscana si inserisce in questa cornice. Nato alla fine del 2011, è composto da associazioni del terzo settore di matrice laica o confessionale, operatori sanitari e amministrativi delle ASL, ricercatori universitari. L’operatività del GrIS è fin da subito dettata dalle segnalazioni di operatori sia pubblici che del privato sociale rispetto a episodi di mancata applicazione della normativa da parte delle ASL, o a lentezze e vuoti decisionali della Regione. Il tema su cui inevitabilmente si concentra l’azione è quello della salute dei migranti irregolari, tutelata dalle norme ma troppo spesso non dalle pratiche operative quotidiane.

Molteplici sono state le segnalazioni arrivate al GrIS Toscana: circolari aziendali in cui si limitava ai soli interventi urgenti l’assistenza sanitaria agli irregolari+, interventi negati a stranieri in possesso di tesserino STP (problematiche legate all’interruzione volontaria di gravidanza, ai trapianti, alla consegna dello stick glicemico ai malati di diabete) e, ogni anno, il cronico ritardo cui la Regione proroga ai cittadini bulgari e rumeni non iscritti nel paese d’origine e privi di assicurazione sanitaria il tesserino STP. Ricordiamo infatti che la Regione Toscana, per motivi mai approfonditi, non ha introdotto il codice ENI per i cittadini comunitari, e continua a prorogare (tra l’altro, appunto, solo per cittadini bulgari e rumeni) il codice STP.

Il tema dell’assistenza sanitaria agli irregolari appare come fondamentale nell’azione del GrIS Toscana non solo perché si tratta di un diritto sancito dalle norme, che in quanto tale deve essere applicato, ma anche perché, in momenti in cui il discorso pubblico sulla “crisi” abbassa il livello di attenzione di tutti, rischia di essere il primo terreno di erosione e di ritrattazione di diritti acquisiti dalla collettività.

Concludendo, possiamo dire che, grazie alla nascita e alle attività dei GrIS, la SIMM si configura sempre più come una “rete di reti”, con una potenzialità unica di condivisione di saperi, soluzioni, riflessioni­­.

Ovviamente i risultati sono differenti, legati al radicamento del gruppo sul territorio, ai diversi contesti politici e amministrativi, alla difficoltà maggiore o minore delle sfide affrontate. Resta un dato fondamentale sullo sfondo: la creazione di laboratori di partecipazione, dove si raccolgono bisogni e problemi, si individuano strategie possibili, si negoziano, a volte anche con fatica, soluzioni. I GrIS, e la SIMM nella sua funzione di indirizzo e coordinamento, sono dunque luoghi dove si fa politica, nel senso più puro del termine: dove si cerca di mettersi a servizio della polis, della comunità, nella sua accezione più piena, appunto, globale.


Bibliografia

* Geraci S., Bodini C.: Rete di reti per la salute degli immigrati. In La sanità dei cittadini (a cura di Altieri L., Nicoli M.A., Sturlese V.). Salute e società, anno X, n. 2/2011. FrancoAngeli, Milano, 129:140

° Geraci S. (a cura di): Una rete per la salute degli immigrati. La Società Italiana di Medicina delle Migrazioni (SIMM) ed i Gruppi Immigrazione e Salute (GrIS). Nuova Anterem, Roma, 2007

° Geraci S., Gnolfo F.: In rete per la salute degli immigrati. Note a margine di un’inaspettata esperienza. Pendragon, Bologna, 2012 (due edizioni)

° Pitzalis G.: Le politiche per la salute degli stranieri nelle esperienze dei GrIS. In Salute per tutti: da immigrati a cittadini. Aprire spazi … costruire traiettorie. Atti dell’XI Congresso Nazionale SIMM. Lombar Key, Bologna, 2011; 84:87

^ Vineis P, Dirindin N. In buona salute. Dieci argomenti per difendere la sanità pubblica. Gli Struzzi. Einaudi, Torino, 2004

+Capitani G.: Nessuno sia escluso (ma per davvero). Post su Saluteinternazionale.info. Il Pensiero scientifico editore; Gennaio, 2013

[1] Solo per citarne alcuni: la Caritas a Roma, il Naga a Milano, la Croce Rossa a Genova, il Biavati a Bologna, i salesiani di Santa Chiara e l’Università a Palermo

[2] Dal 1990 ogni due anni un Convegno nazionale ha scandito i passaggi chiave in termini di politiche ed acquisizioni scientifiche nell’ambito della salute dei migranti. Vedi gli atti e le raccomandazioni finali su www.simmweb.it

[3] L’allora Ministro della Sanità, on. Rosy Bindi, chiese ad esponenti della SIMM di far parte di una commissione/gruppo di lavoro, che ha “costruito” la parte sanitaria del Legge 40 del 1998 confluita nel Testo Unico dell’immigrazione (Decreto legislativo 286 del 1998), del suo regolamento d’attuazione (Decreto Presidente Repubblica 394 del 1999) e di una circolare esplicativa (n. 5 del 24 marzo 2000). Nel 2006 una nuova commissione ministeriale è stata istituita dal Ministro della Salute, on. Livia Turco, su esplicita richiesta della SIMM. Infine la SIMM fa parte del Tavolo interregionale sulla salute degli immigrati costituitosi in seno della Commissione salute della Conferenza delle Regioni e P.A. .

[4]  http://www.simmweb.it/fileadmin/documenti/Consensus/_finale_consensus_simm_2002.pdf

[5] Da una lettera/appello del Consiglio di Presidenza della SIMM parte la mobilitazione culminata con la campagna “Noi non segnaliamo”: http://www.simmweb.it/fileadmin/documenti/Simm_x_news/10-simm_appello_08.pdf

[6] Testo tratto dallo statuto della SIMM.