16Aprile

L’azione del Camper per i diritti di Medu. Tra i senza fissa dimora di Firenze

Da circa dieci anni è attiva nei contesti di marginalità del capoluogo toscano l’unità mobile di Medici per i Diritti Umani, con l’obiettivo di prestare una prima assistenza sanitaria e collegare ai servizi socio-sanitari del territorio.  Nell’intervento vengono illustrate le modalità di azione del progetto, fondate su una logica non sostitutiva del servizio sanitario regionale, su un approccio multidisciplinare e su una scrupolosa raccolta dei dati sul campo, dai cui emergono interessanti criticità.

 

AUTORE: Marco Zanchetta, coordinatore MEDU Firenze

E’ oramai attivo da circa dieci anni nella città di Firenze e nei Comuni limitrofi il progetto di Medici per i Diritti Umani “Un Camper per i diritti – unità mobile di assistenza socio-sanitaria per i senza fissa dimora”. Obiettivo dell’intervento è quello di offrire una prima assistenza sanitaria ma soprattutto fornire un’informazione e un orientamento all’uso dei servizi socio-sanitari pubblici del territorio alle persone in condizione di precarietà abitativa. Una logica quindi che, partendo dalla pratica medica, vuole garantire un ruolo da protagonista al Servizio sanitario regionale e agli enti locali svolgendo un ruolo di “ponte” con gli stessi. Se l’offerta di aiuto medico rappresenta infatti, oltre ad un prezioso aiuto per la persona, un ottimo aggancio per instaurare quel rapporto di fiducia e vicinanza alla base del nostro intervento, un effettivo accesso alla salute può essere garantito solo con un collegamento efficace ai servizi socio-sanitari rappresentati in primo luogo dal medico di medicina generale. La scelta di un’unità mobile che raggiunga i contesti per varie ragioni scollegati alle istituzioni, che attivamente raggiunga le popolazioni vulnerabili di riferimento, è quella di non creare percorsi paralleli o ghettizzanti per un determinato tipo di utenza attraverso ambulatori o strutture stabili, lasciando quindi al servizio pubblico quel ruolo centrale di garanzia che gli spetta. Un monitoraggio continuo del territorio, con il supporto di altri soggetti in grado di fornire le opportune informazioni e le opportune “chiavi di ingresso”, permette via via di mettere a fuoco gli obiettivi più meritevoli di intervento.

Una prima parte del lavoro viene quindi svolta proprio nei confronti degli utenti. Parallelamente alla risoluzione della problematica di salute emersa, l’attenzione viene posta innanzitutto nell’informazione al paziente sui diritti effettivamente in suo possesso e nell’avvio della procedura di regolarizzazione sanitaria se necessaria, che significa ottenimento della tessera sanitaria o del tesserino STP[1] (Straniero Temporaneamente Presente) a seconda delle situazioni. Nei casi ritenuti più critici, i volontari si occupano anche dell’accompagnamento presso gli uffici di riferimento, quindi Anagrafe sanitaria, Agenzia delle entrate, Ufficio del lavoro, Questura competente.   Inizia poi un monitoraggio volto a garantire l’effettivo collegamento e l’effettiva capacità di interazione e utilizzo del soggetto dei servizi socio-sanitari del territorio nonché del medico di famiglia scelto, al quale, se necessario, vengono inviate apposite segnalazioni in fase di primo accesso o in momenti di particolare difficoltà. Un rapporto di conoscenza e collaborazione, infine, vuole essere instaurato con gli altri soggetti del terzo settore che possano fungere da supporto nel processo di inserimento sociale delle persone che incontriamo, in primis servizi di informazione legale e associazioni deputate all’accoglienza.

La seconda parte del lavoro svolto dal progetto, oltre a quello rivolto ai pazienti, è invece quello di sensibilizzazione/informazione all’opinione pubblica e di costante dialogo e lobby con le istituzioni regionali e locali per la risoluzione di problematiche generali di tipo amministrativo, organizzativo e sanitario che mettono in crisi il reale accesso alla salute. Gli strumenti principali per questo tipo di azione sono la richiesta di colloqui ai referenti competenti, l’organizzazione di eventi pubblici, la scrittura di articoli, la partecipazione a workshop o eventi di informazione/formazione ma soprattutto la redazione di report periodici con differenti focus nell’ambito del lavoro svolto[2] .

Nella sede fiorentina sono attivi nell’ambito dell’unità mobile circa quaranta volontari, professionisti della salute e non, principalmente medici, infermieri, ostetriche, psicologi, antropologi, sociologi, giuristi. La logica di una multidisciplinarietà che sappia garantire l’integrazione di approcci diversi e quindi punti di vista professionali e umani differenti rappresenta per MEDU un grande valore aggiunto dell’intervento. In questo senso i volontari vengono formati prima di cominciare la propria attività e attraverso appuntamenti periodici, durante i quali vengono fornite le informazioni tecniche alla base del lavoro, informazioni sui contesti e gli utenti di riferimento ma anche vengono discusse le migliori modalità per assicurare un ruolo attivo ed efficace alle varie figure presenti durante le uscite. L’opportunità offerta in questi anni a decine di volontari sanitari e non sanitari di conoscere realtà a noi molto vicine ma spesso inavvicinate o inavvicinabili e la possibilità di entrare in contatto con un’utenza che presenta proprie specificità in relazione alle condizioni di vita, alla provenienza nonchè alla cultura di appartenenza, crediamo rappresenti una opportunità che a livello scolastico o accademico sia difficilmente ottenibile , contribuendo a rafforzare le differenti professionalità che vengono in causa.

La metodologia di intervento dell’unità mobile prevede innanzitutto la redazione di report epidemiologici relativi al singolo contesto di riferimento, riguardante principalmente le condizioni strutturali, igienico-sanitarie, l’accesso all’acqua, allo smaltimento dei rifiuti e ai servizi di energia elettrica e riscaldamento. Per ogni singolo paziente viene inoltre redatta una scheda clinica, aggiornata ad ogni visita successiva, i cui dati vengono riportati su un data base generale che permette la loro elaborazione. La raccolta rigorosa dei dati e la loro analisi rappresenta un punto focale dell’azione del progetto, essendo il punto di partenza per una testimonianza del lavoro svolto e di una eventuale denuncia delle violazioni dei diritti riscontrate sul campo, componente fondamentale della logica di intervento di Medici per i Diritti Umani. Oltre ai presidi sanitari necessari, nelle borse a disposizione degli operatori è presente una modulistica relativa alle modalità di accesso e funzionamento dei servizi del territorio.

I contesti di ingresso dell’unità mobile sono stati alquanto diversificati in questi anni, pur se uniti da un minimo comune denominatore caratterizzato da difficili condizioni igienico-sanitarie e abitative e da uno stato di isolamento dal contesto sociale più o meno accentuato[3]: campi rom non autorizzati[4] (area ex Osmatex, Comune di Sesto Fiorentino, via Baracca), stazioni ferroviarie (Santa Maria Novella e Rifredi), immobili occupati con tipologia di occupanti molto diversificate (principalmente ex sanatorio Luzzi, stabile di Poggio Secco, ex ospedale Meyer e altre situazioni illustrate qui di seguito). Sono stati saltuari e su richiesta gli interventi in situazioni di accoglienza già sotto la responsabilità di specifici soggetti (emergenza freddo, accoglienza per l’emergenza nord Africa del 2011). Le differenti condizioni amministrative dell’utenza hanno ovviamente comportato differenze di approccio oltre che dal punto di vista linguistico e culturale, anche dal punto di vista delle informazioni e dei percorsi amministrativi più appropriati, si tratti di cittadini italiani, cittadini comunitari irregolarmente o regolarmente presenti, stranieri in possesso o meno di permesso di soggiorno, richiedenti asilo o titolari di protezione internazionale[5].

Proprio su quest’ultima categoria si è incentrato l’intervento dell’unità mobile in questi ultimi due anni, in particolare nelle occupazioni fiorentine della scuola di viale Guidoni, negli stabili delle Cascine della ex sede ARPAT di via Slataper e presso i magazzini dell’ex ospedale Meyer. Si tratta di persone regolarmente soggiornanti a cui è garantita una protezione da parte del nostro Stato e quindi una parità di trattamento nell’accesso alla salute con i cittadini italiani. Rifacendosi ai dati del semestre settembre 2013 – febbraio 2014, gli ultimi disponibili, l’unità mobile ha effettuato 46 uscite svolgendo 215 visite a 160 pazienti. 170 persone sono state informate sulla regolarizzazione sanitaria e l’uso dei servizi socio-sanitari, 129 sono state inviate con lettere di accompagnamento, 51 fisicamente accompagnate. L’utenza incontrata dagli operatori è prevalentemente di sesso maschile (92%) e di età molto giovane, con il 55,7% tra i 18 e i 30 anni e il 4,43% minorenne. Le nazionalità di riferimento sono prevalentemente quella somala (circa 90%), quindi etiope, eritrea, liberiana e sudanese. Nonostante il 59% dei pazienti sia in Italia da più di due anni e quasi il 25% da più di un anno, il 25% non possiede alcun documento sanitario. A questi si somma un altro 25% che ha la tessera TEAM (Tesserino sanitario) senza un MMG e non può accedere di fatto al Servizio sanitario. Il dato appare particolarmente rilevante pensando al fatto che il 91,8% di loro è già stato in una struttura di accoglienza istituzionale, per lo più Centri di prima accoglienza, Centri di accoglienza per richiedenti asilo (CARA) o strutture dell’ex Emergenza Nord Africa (ENA). Il 60% dei pazienti, e si parla di quelli più stabilmente presenti e in diversi casi già seguiti dai nostri operatori, posseggono un medico di base di riferimento ed il 60% degli stessi ne fa un uso continuativo. Un fenomeno crescente rispetto al passato, quando rappresentava circa il 7% dei casi, è quello dei migranti forzati in transito sul territorio, persone non identificate dalle autorità nazionali che cercano il passaggio verso altri Paesi europei dove le condizioni di accoglienza sono migliori. Queste persone, in molti casi minori o genitori soli, sono difficilmente avvicinabili, poiché per loro l’identificazione e l’accoglienza della domanda di protezione internazionale nel nostro Paese implicherebbe un obbligo di soggiorno entro i limiti del suo territorio. Al di là della necessità di un intervento sanitario che si riduce necessariamente ad una prima assistenza o ad un temporaneo ricorso al Pronto Soccorso, il fenomeno andrebbe preso in considerazione a livello istituzionale, prevedendo forme di accoglienza temporanee e “leggere” per evitare situazioni di grave marginalità e disagio, come rilevato soprattutto nella città di Roma, dove è attiva l’altra unità mobile Medu. In linea generale, il profilo epidemiologico dell’utenza rileva patologie provocate dalle condizioni abitative e igienico-sanitarie: patologie dell’apparato respiratorio (16,4%) e dell’apparato digerente (8,6%). I casi di sospette malattie infettive sono l’8,2% dei casi, quindi una percentuale non preoccupante, che merita però particolare attenzione soprattutto in relazione al recente fenomeno dell’aumento degli sbarchi sulle nostre coste e delle conseguenti preoccupazioni a livello di opinione pubblica. La discussione andrà avviata quindi sia in relazione alla necessità o meno che sulle modalità di somministrazione degli screening al momento dell’arrivo, oltre che in relazione alla presa in carico delle stesse malattie infettive in contesti di marginalità abitativa.

Nell’ambito delle problematiche di salute della persona, va sottolineata in particolare la questione della presa in carico dei titolati di protezione internazionale definiti come categorie vulnerabili dalla stessa Unione Europea: minori non accompagnati, genitori soli con figli minorenni, portatori di handicap, vittime di violenza e tortura, donne in stato di gravidanza e malati gravi, nella nostra esperienza portatori di malattie croniche e persone con disagio mentale in primis. Paradossalmente, sono proprio queste persone ad avere normalmente più difficoltà nella presa in carico istituzionale, se si fa eccezione per i minori e le donne in stato di gravidanza. Le ragioni sono la ridotta attenzione nell’individuazione di tale casistica, la scarsità di posti disponibili in strutture appositamente qualificate e la difficoltà ed ora impossibilità[6] ad ottenere una iscrizione anagrafica all’interno di stabili occupati. Quest’ultima rappresenta infatti l’opportuno aggancio sul territorio che permette una reale e completa presa in carico socio-sanitaria. La questione assume particolare rilevanza per i soggetti vittime di tortura o violenza, subita nel paese di origine o durante la rotta migratoria, a cui Medu offre la possibilità di una certificazione ai fini della richiesta di protezione internazionale redatta da un’equipe multidisciplinare formata da un medico, uno psicologo e un antropologo. Un’altra fascia di utenza caratterizzata da particolare vulnerabilità è rappresentata da persone con disagio psichico,più o meno accentuato, fino alla presenza di patologie psichiatriche (7,8%). Le cause del disagio psichico sono molteplici, dalle esperienze vissute prima della partenza alla difficoltà del viaggio, arrivando alla precarietà della situazione nel nostro Paese, su cui spesso erano state riposte molte aspettative e speranze. Se la problematica dei malati psichiatrici assume rilevanza anche tra i cittadini italiani, tra i migranti forzati è la falla che più evidentemente mette in evidenza le carenze del nostro sistema.

 

[1] Il codice STP (Straniero Temporaneamente Presente) è lo strumento per l’applicazione del diritto all’assistenza sanitaria da parte dei cittadini extra-UE irregolarmente presenti sul territorio. Il codice STP è rilasciato dalle Aziende sanitarie locali, all’atto della richiesta di cure oppure su richiesta dell’interessato. L’accesso alle strutture di cura non può comportare alcuna segnalazione all’autorità

[2] Vedi www.mediciperidirittiumani.org pagina REPORT

[3] Vedi il volume “Città senza dimora” Ed.Infinito, Medu febbraio 2013

[4] Vedi il rapporto “Lontano dagli occhi”, Medu marzo 2011 e il rapporto “Europa Invisibile”, Medu giugno 2010

[5] Vedi il rapporto “Rifugiati a Firenze”, MEDU aprile 2013

[6] L’art.5 del Piano Casa Decreto legge n.47 del 2014 nega espressamente la possibilità di iscrizione anagrafica per coloro che occupino abusivamente un immobile, vedi il comunicato stampa Medu 4 giugno 2014