20Luglio

Da “Health for All” a “Universal Health Coverage”

Gavino Maciocco
Università di Firenze e Centro di Salute Globale, Regione Toscana

L’Universal Health Coverage (UHC) si trova all’intersezione della politica sociale con la politica economica – afferma Julio Frenk, già ministro della Sanità messicano. L’introduzione di riforme che promuovono la copertura universale non è soltanto una cosa buona sul piano etico; è anche un’idea brillante per raggiungere la prosperità economica. Questo è uno dei modi più potenti per combattere la povertà, mentre quando le società non assicurano un’effettiva copertura per tutti, ciò diventa un fattore di impoverimento per le famiglie. UHC quindi è in grado di mantenere una grande promessa: il “focus” su l’incremento dell’accesso a servizi di alta qualità con la protezione finanziaria integra politica sociale e economica in un modo che – se fatto bene – può portare benefici alle società in tutto il mondo”. Ma non è tutto oro quello che riluce, come spiega l’articolo.

Primary Health Care. Now More Than Ever

Nel 2008, a distanza di trent’anni dalla Dichiarazione di Alma Ata, l’Organizzazione Mondiale della Sanità intitola il suo Rapporto annuale “Primary Health Care. Now More Than Ever” 1.

Tre decenni prima, sullo sfondo della guerra fredda, 134 Stati membri dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS), 67 Agenzie internazionali e diverse Organizzazioni non governative, riunite nella Conferenza tenutasi ad Alma-Ata, avevano raggiunto un accordo epocale: adottare la primary health care come prospettiva di riferimento per raggiungere “la salute per tutti” nell’anno 2000. La strategia di politica sanitaria enunciata ad Alma-Ata coniugava la salute ai diritti umani e alla giustizia sociale per rendere universalmente accessibili i servizi sanitari essenziali. Ampliava il modello medico riconoscendo l’importanza per la salute dei fattori socioeconomici. Dava spazio a soluzioni al livello locale onorando le capacità e il senso d’appartenenza delle comunità. Soprattutto, la primary health care offriva una piattaforma per organizzare l’intero ventaglio dei servizi sanitari, dalle famiglie agli Ospedali, dalla prevenzione alla cura, con risorse distribuite con efficienza nei diversi livelli assistenziali.

Le cose poi andarono diversamente. La prospettiva di Alma-Ata fu duramente contrastata dalle istituzioni tecnocratiche internazionali (in primis la Banca mondiale), dal potere economico delle multinazionali della sanità (in primis Big Pharma) e dal potere corporativo dell’establishment medico, svalutata come utopica, mentre gli approcci selettivi e verticali per il controllo di singole malattie prendevano il sopravvento.

Secondo il Rapporto del 2008, dopo Alma-Ata, si sono affermate tre diverse, ma alla fine convergenti, tendenze che hanno agito in direzione contraria alla strategia della Primary Health Care:

  1. L’accentramento sull’Ospedale, sulle attività specialistiche e sull’assistenza terziaria. In molti Paesi, anche in quelli a basso e medio reddito, gli investimenti nella sanità sono andati a finanziare Ospedali collocati nelle aree urbane, soprattutto nelle capitali. Medici, attrezzature, innovazione tecnologica si sono concentrati soprattutto lì, sottraendo risorse dove maggiori erano i bisogni.
  2. La commercializzazione e la privatizzazione. La salute è diventata un business, le prestazioni sanitarie un bene di consumo. Pagare le cure è diventata la norma, spesso anche sottobanco pur di ottenere qualcosa. Ciò ha ridotto l’accessibilità ai servizi, ha dilatato le diseguaglianze nella salute e – a causa dei costi sostenuti – ha aggravato le condizioni di povertà di milioni di famiglie.
  3. La frammentazione e la moltiplicazione dei programmi “verticali”, centrati su singole malattie (Aids, tubercolosi, malaria, etc) o su singoli interventi (es: vaccinazioni). Ciò, come abbiamo già in precedenza sottolineato, ha creato assurde competizioni tra differenti servizi e differenti organizzazioni, inefficienze, sprechi e duplicazioni, e alla fine ha indebolito, in certi casi fino a distruggerla, la rete ordinaria dei servizi territoriali.

La raccomandazione e l’auspicio dell’OMS fu che queste tre distorsioni fossero corrette con il riallineamento agli obiettivi di Alma-Ata:

  1. equità nella salute;
  2. accesso universale a un’assistenza centrata sulla persona e sulla popolazione;
  3. comunità sane, ovvero prevenzione primaria.
  1. Health systems financing: the path to universal coverage

Due anni dopo, nel 2010, l’Organizzazione Mondiale della Sanità intitola il suo Rapporto annuale “Health systems financing: the path to universal coverage” 2. Sono – secondo il documento dell’OMS – tre i problemi, fondamentali e tra loro collegati, che impediscono ai Paesi del mondo di raggiungere la copertura universale.

Il primo è la disponibilità di risorse. Nessun Paese, anche il più ricco, è in grado di garantire che ogni persona abbia immediato accesso a ogni tecnologia e a ogni intervento che possa migliorare la propria salute o prolungare la propria vita. All’altro estremo della scala, nei Paesi più poveri, pochi servizi sono disponibili per tutti.

La seconda barriera è il pagamento diretto delle prestazioni (visite, accertamenti diagnostici, farmaci, ricoveri). Anche se le persone hanno una qualche forma di assicurazione, spesso devono contribuire sotto forma di ticket o di franchigie. L’obbligo di pagare – formalmente o anche informalmente (sottobanco) – nel momento del bisogno impedisce a milioni di persone di accedere ai servizi oppure di dovere andare incontro a spese catastrofiche e spesso di finire in povertà.

Il terzo impedimento verso un rapido raggiungimento della copertura universale è l’inefficiente e iniquo uso delle risorse. Secondo una stima prudente, il 20-40% delle risorse sanitarie sono sprecate. Ridurre questi sprechi migliorerebbe grandemente la capacità dei sistemi sanitari di fornire servizi di qualità e di migliorare la salute della popolazione.

Quando un sistema sanitario è finanziato attraverso il pagamento diretto delle prestazioni (il cosiddetto pagamento out-of-pocket), tutti pagano lo stesso prezzo indipendentemente dalla loro condizione economica. Viene così a cadere ogni forma di solidarietà tra sani e malati, tra ricchi e poveri. Questo sistema rende impossibile distribuire i costi durante il ciclo della vita, pagando i contributi quando uno è giovane e sano e ricevendo i servizi gratuitamente in caso di malattia durante la vecchiaia.

Quasi tutti i Paesi impongono qualche forma di pagamento diretto, ma nei Paesi più poveri la proporzione della spesa sanitaria attraverso pagamenti out-of-pocket è più alta: nel 2007 – rilevava il Rapporto – in 33 paesi a basso e medio reddito questi rappresentavano più del 50% della spesa sanitaria totale. “L’unico modo di ridurre il ricorso al pagamento diretto delle prestazioni sanitarie – afferma ancora il Rapporto – è quello di promuovere la distribuzione del rischio, attraverso forme di pre-pagamento, la strada scelta da molti Paesi per avvicinarsi alla copertura universale. Quando una popolazione ha accesso al pre-pagamento e ai meccanismi distributivi del rischio, l’obiettivo della copertura sanitaria universale (Universal Health Coverage, UHC) diventa più realistico. E quando i pagamenti out-of-pocket scendono al 15-20% della spesa sanitaria totale il rischio di catastrofe finanziaria e di impoverimento si riduce a livelli trascurabili”.

  1. Universal Health Coverage (UHC). La risoluzione delle Nazioni Unite

Nel 2012 il tema della copertura sanitaria universale diventa oggetto di una risoluzione approvata il dall’Assemblea delle Nazioni Unite, il 6 dicembre 3, dove si legge: “L’Assemblea generale riconosce: L’importanza della copertura universale nei sistemi sanitari nazionali, specialmente attraverso i meccanismi di assistenza sanitaria di base e di protezione sociale, per fornire l’accesso ai servizi sanitari a tutti, e in particolare ai segmenti più poveri della popolazione. La copertura sanitaria universale comporta che tutte le persone abbiano accesso, senza discriminazioni, all’insieme dei servizi preventivi, curativi e riabilitativi, definiti nazionalmente, e ai farmaci essenziali, sicuri, economici, efficaci e di qualità, con la garanzia che l’uso di questi servizi non esponga i pazienti – particolarmente i gruppi più poveri e vulnerabili – alla sofferenza economica. Gli Stati membri devono far sì che i sistemi di finanziamento della sanità impediscano il pagamento diretto delle prestazioni da parte dei pazienti e introducano sistemi di prepagamento e di distribuzione del rischio per evitare spese catastrofiche a causa delle cure mediche e il conseguente impoverimento delle famiglie. Il bisogno di continuare a promuovere, istituire o rafforzare politiche nazionali multi-settoriali e piani per la prevenzione e il controllo delle malattie croniche e di applicare sempre più estesamente tali politiche e programmi, incluso il riconoscimento dell’importanza della copertura universale all’interno dei sistemi sanitari nazionali”.

L’approvazione della risoluzione dell’Assemblea delle Nazioni Unite rappresenta secondo Lancet l’inizio di una nuova fase in cui la UHC diventa l’obiettivo chiave della salute globale. “In tutto il mondo – si legge nell’editoriale – ogni anno circa 150 milioni di persone affrontano spese sanitarie catastrofiche a causa dei pagamenti diretti delle prestazioni, mentre 100 milioni sono trascinate al di sotto della linea di povertà. Nella misura in cui le persone sono coperte da meccanismi di distribuzione del rischio e di prepagamento, si riduce anche il numero di coloro che vanno incontro a danni finanziari causati dalle malattie. Un sistematico approccio verso la UHC può avere un effetto trasformativo nella battaglia contro la povertà, la fame e la malattia” 4.

Lancet aveva già dedicato a UHC una serie di editoriali e di paper nel settembre 2012. In uno di questi si sottolinea l’importanza della UHC nel miglioramento della salute della popolazione, in particolare della salute maternoinfantile 5. Uno studio, per esempio, ha rilevato la riduzione del 7,9% della mortalità dei bambini al di sotto dei 5 anni in risposta al 10% di incremento della spesa sanitaria pubblica pro-capite, mentre nessun effetto è stato osservato dall’aumento della spesa sanitaria privata 6. Un recente rapporto dell’Unicef stima che aumentando di 10 punti percentuali la quota della spesa sanitaria destinata a forme di pre-pagamento si riduce il tasso mortalità dei bambini al di sotto dei 5 anni del 15 per mille, equivalente a 500 mila vite di bambini salvati soltanto in India e Nigeria, senza aumentare la spesa sanitaria totale 7.

“UHC si trova all’intersezione della politica sociale con la politica economica – scrive Julio Frenk, già ministro della sanità messicana. L’introduzione di riforme che promuovono la copertura universale non è soltanto una cosa buona sul piano etico; è anche un’idea brillante per raggiungere la prosperità economica. Questo è uno dei modi più potenti per combattere la povertà, mentre quando le società non assicurano un’effettiva copertura per tutti, ciò diventa un fattore di impoverimento per le famiglie. UHC quindi è in grado di mantenere una grande promessa: il “focus” su l’incremento dell’accesso a servizi di alta qualità con la protezione finanziaria integra politica sociale e economica in un modo che – se fatto bene – può portare benefici alle società in tutto il mondo” 8.

Nella risoluzione delle Nazioni Unite del 6 dicembre 2012 riecheggiano affermazioni e concetti contenuti nella Dichiarazione di Alma Ata del 1978. Ci troviamo di fronte al ritorno dell’universalismo, a una sorta di ricorso storico? Non esattamente, perché la stagione che stiamo vivendo è profondamente diversa da quella in cui è nato e si è sviluppato l’universalismo, tuttavia non c’è dubbio che si è aperta una fase diversa. Diversa rispetto alla stagione di segno fortemente neo-liberista – degli anni ‘80 e ‘90 – che l’ha preceduta.

Perché UHC? L’importanza del lessico

Che ci si trovi in un periodo storico molto diverso da quello in cui fiorì e si sviluppò l’universalismo di Beveridge prima e poi quello di Alma Ata, lo si capisce molto bene dall’uso delle parole. La Conferenza di Alma Ata si concluse con l’obiettivo “Health for All” (Salute per tutti), mentre l’OMS e anche le Nazioni Unite, negli ultimi tempi, hanno scelto il termine “Universal Health Coverage” (Copertura sanitaria universale). Avrebbero potuto usare Universal Health Care, Assistenza sanitaria universale, e si sarebbero avvicinati a Health for All (con una differenza sostanziale: Health Care è riduttivo rispetto al semplice Health, perché non si occupa di determinanti sociali di salute). Ma hanno usato Coverage, invece di Care. Il termine Coverage si applica alla copertura assicurativa, attraverso differenti forme di pre-pagamento:

  • il modello Beverigde, dove l’universalità della copertura è garantita dallo Stato e finanziata dalla fiscalità generale. Nato in Inghilterra è stato adottato in molti Paesi, tra cui l’Italia;
  • il modello Bismarck (dal nome del Cancelliere tedesco che lo introdusse in Germania negli anni 80 dell’800), basato sulle Assicurazioni sociali obbligatorie, finanziate da datori di lavoro e dipendenti. I beneficiari sono i lavoratori e le loro famiglie, ma in molti Paesi lo Stato interviene per coprire anche disoccupati, disabili e pensionati. Oltre che in Germania tale modello è adottato in diversi Paesi centro europei, come Austria e Francia, e asiatici, come Giappone e Corea del Sud; • il modello delle Società di mutuo soccorso, nate nell’800 in Europa, e che oggi ha il nome di Community Health Insurance, dove, volontariamente, gli appartenenti a una associazione, un sindacato, una categoria, una comunità si tassano per coprire le spese sanitarie di un socio. Recentemente questo tipo di assicurazioni si è sviluppato in Asia (vedi India, Indonesia e Filippine) e in Africa (vedi Ghana, Ruanda e Tanzania);
  • il modello delle Assicurazioni sanitarie private, generalmente profit, dove gli assicurati acquistano volontariamente una polizza, il cui costo è molto variabile in relazione alla condizione di rischio dell’assicurato (età, abitudini di vita, stato di salute, etc), alle caratteristiche delle prestazioni che vengono garantite in caso di malattia o infortunio, al livello di partecipazione alla spesa (copagamento, detto anche ticket) e di franchigia (l’assicurazione inizia a pagare dopo che le spese a carico del paziente hanno raggiunto una determinata soglia). Nate negli USA, sono presenti in tutto il mondo.

Perché ci si è concentrati sul Coverage, che è una parte della Care? Perché ci si preoccupa così tanto dell’aspetto finanziario dell’assistenza (Coverage) e si mette in secondo piano l’organizzazione e l’erogazione dei servizi (Care)? Le risposte a queste domande sono diverse, anche di segno politico diverso.

La prima e la più rilevante spiegazione è che le radicali politiche neoliberiste – drastica riduzione della spesa sanitaria pubblica, privatizzazione dei servizi, spese catastrofiche delle famiglie, rinuncia a curarsi – avevano creato una situazione socialmente, e anche umanamente, non più sostenibile e tollerabile. Limitandoci a due soli Paesi, i più popolosi come Cina e India, agli inizi del 2000 su una popolazione di 2 miliardi e trecento milioni di persone, meno di un terzo di essa godeva di una qualche copertura assicurativa. Andava un po’ meglio in Messico dove su 100 milioni di abitanti, solo la metà di essi usufruiva della copertura assicurativa: coloro che avevano un rapporto di lavoro formale o erano in grado di acquistare una polizza sul mercato privato. Ma andava molto peggio alle popolazioni dell’Africa sub-sahariana dove solo un’esigua minoranza era assicurata e dove la stragrande maggioranza era costretta a pagare formalmente o sottobanco qualsiasi prestazione di cui avesse bisogno dalla cura della malaria, a un parto, a un intervento chirurgico. Da questo punto di vista la pressione dell’OMS e poi l’impegno solenne dell’Assemblea delle Nazioni Unite verso l’UHC vanno considerati come una condanna implicita delle politiche neo-liberiste precedenti (per anni colpevolmente tollerate dalle stesse istituzioni internazionali) e l’inizio di una fase nuova e più promettente per la salute globale (peraltro già anticipata in alcuni Paesi).

Tuttavia la filosofia dell’UHC pone dei limiti all’intervento del settore pubblico e lascia spazio a quello privato, sia sul versante del finanziamento che in quello della produzione e erogazione dei servizi. Sul fronte del finanziamento il Governo deve garantire che tutti possano avere accesso alla copertura: una copertura pubblica (come nei Servizi sanitari nazionali), ma anche privata o mista, con politiche che regolino il mercato assicurativo (sia questo profit o non profit) con la possibilità d’intervento pubblico nel caso che fasce di popolazione risultino scoperte.

Bibliografia

  1. World Health Report 2008, Primary Health Care. Now More Than Eve. Geneva: WHO 2008.
  2. World Health Report 2010, Health systems financing: the path to universal coverage. Geneva: WHO 2010.
  3. United Nations. General Assembly, Global health and foreign policy, A/67/L. 36, 6. December 2012.
  4. Vega J. Universal health coverage: the post-2015 development agenda. Lancet 2013;381;179-80.
  5. Moreno-Serra R, Smith PC. Does progress towards universal health coverage improve population health? Lancet 2012;380:917-23.
  6. Moreno-Serra R, Smith PC. The effects of health coverage on population outcomes: a country-level panel data analysis. Results for Development Institute Working Paper. Washington, DC: Results for Development Institute 2011.
  7. Brearley L, Marten R, O’Connell T. Universal health coverage: a commitment to close the gap. Save the Children, 2013. www.savethechildren.org.uk/sites/default/files/docs/Universal_health_coverage_0.pdf.
  8. Frenk J, De Ferranti D. Universal health coverage: good health, good economics. Lancet 2012;380:862-3.